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Dagli anni dell'immediato secondo dopoguerra, lungo un percorso spesso difficile e contrastato, la costruzione dell'autonomia è stato un processo ampio, che ha investito i rapporti tra poteri centrali e locali e ha impegnato governi, diplomazie e cittadinanza.
Il confronto democratico ha garantito la possibilità di affrontare le molte questioni aperte con spirito costruttivo e capacità di innovazione istituzionale, in un rapporto di dialogo tra centro e periferia.
Dall'Accordo Degasperi-Gruber al Pacchetto.
il ministro degli Esteri italiano Alcide Degasperi e il ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber concordano e firmano l'Accordo di Parigi, 5 settembre 1946 9 Eredità.
La presenza di comunità linguistiche e nazionali diverse costituisce il tratto dominante della storia di questa provincia alpina di confine.
Da area di coabitazione, scambio e mescolanza, l'età dei nazionalismi ha trasformato una significativa realtà territoriale, posta tra il mondo tedesco e quello italiano, in zona di contesa e conflitto.
A cavallo tra Otto e Novecento anche agli occhi dei viaggiatori in transito l'Alto Adige appariva, a seconda si provenisse da Nord o rispettivamente da Sud, come la più meridionale provincia tedesca o, viceversa, la più settentrionale provincia italiana.
Con la fine della prima guerra mondiale, dopo aver appartenuto per sei secoli alla Casa d'Austria, il Tirolo venne diviso da nuovi confini nazionali, disegnati dopo il crollo dell'impero austro-ungarico.
Già con la sigla del Patto di Londra (1915) il Regno d'Italia si era assicurato il possesso del Trentino e del Tirolo cisalpino fino al Brennero, in cambio della discesa in guerra a fianco della Triplice Intesa.
Successivamente in sede di trattative per la pace a Saint-Germain (1919) tali nuove acquisizioni territoriali vennero confermate.
Sulla decisione di tracciare il nuovo confine del Brennero pesarono motivi di ordine militare e strategico, visto che si trattava di un'importante barriera geografica e naturale, mentre per gli Alleati si giustificava come una sorta di compensazione per la rinuncia italiana ai territori della Dalmazia e soprattutto Fiume.
L'annessione al Regno d'Italia della parte meridionale del Tirolo, che comprendeva la provincia altoatesina con prevalenza di popolazione di madrelingua tedesca e il Trentino con prevalenza di popolazione di madrelingua italiana, fu una cesura profonda che riproponeva, dentro un contesto statuale diverso, la questione dei rapporti tra potere centrale e minoranze etno-linguistiche che aspiravano all'autogoverno locale.
L'avvento del fascismo chiuse per i sudtirolesi anche i piccoli spiragli sulla concessione di forme di autonomia locale, che il confronto con gli esponenti degli ultimi governi liberali aveva provato ad aprire.
In particolare durante il governo di Francesco Saverio Nitti giugno 1919 giugno 1920) i rappresentanti politici della popolazione sudtirolese, riuniti nel Deutscher Verband (Unione tedesca), presentarono a Roma un disegno di legge che prevedeva l'istituzione di una provincia unica (senza il Trentino) dotata di ampie competenze di autogoverno.
La forte reazione dei nazionalisti, insieme ai convinti assertori del centralismo e dell'unitarietà dello Stato, fece capire che non vi erano le condizioni politiche affinché una tale proposta potesse essere accolta.
Caduti i governi liberali, sotto le insegne del regime mussoliniano prese avvio un radicale programma di snazionalizzazione della provincia atesina.
Vennero colpiti i più elementari diritti della minoranza di lingua tedesca e L'avvento del fascismo chiuse i piccoli spiragli sulla concessione di forme di autonomia locale, che gli ultimi governi liberali avevano provato ad aprire. 10 anche i sudtirolesi, che seppero opporre alla dittatura forme di resistenza passiva.
Ventennio la politica di italianizzazione dell'Alto Adige fece leva su una massiccia immigrazione dalle vecchie province, favorita dall'impianto di nuove industrie, soprattutto nel capoluogo Bolzano, e da opere di bonifica.
A dare un'ulteriore spinta all'arrivo di italiani contribuirono le opzioni del 1939, che posero le condizioni per un esodo forzato dei sudtirolesi verso la Germania nazista.
All'atto della caduta del fascismo l'Alto Adige contava la presenza di una consistente minoranza di lingua italiana, che rappresentava circa un terzo della popolazione complessiva.
Si trattava di una presenza spalmata in modo disomogeneo sul territorio provinciale, condensata soprattutto nelle realtà urbane.
La penetrazione italiana, che si era fermata ai primi tornanti delle valli, non era riuscita a cancellare il carattere tedesco dell'Alto Adige, così come Mussolini aveva pianificato.
Carattere che riemerse come tratto dominante durante i diciotto mesi dell'occupazione nazista.
Fascismo e nazismo aprirono profonde fratture tra le comunità e al loro stesso interno, sia alimentando reciproci pregiudizi tra italiani e sudtirolesi sia fornendo sufficienti motivi a entrambi i gruppi di identificarsi come vittime dei regimi e minoranze in lotta.
La penetrazione italiana, che si era fermata ai primi tornanti delle valli, non era riuscita a cancellare il carattere tedesco dell'Alto Adige.
Emblema della dittatura fascista: inaugurazione del Monumento alla Vittoria a Bolzano, 12 luglio 1928 11.
L'Alto Adige nelle mani dei Grandi.
Con la fine del secondo conflitto mondiale il futuro dell'Alto Adige restava incerto.
La lotta contro il nazifascismo era stata combattuta localmente da un movimento resistenziale in cui erano presenti una componente di lingua italiana, raccolta intorno al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), e una di lingua tedesca che faceva capo all'Andreas Hofer-Bund (AHB), gruppo fondato da sudtirolesi non optanti (Dableiber).
Uniti dall'obiettivo comune di abbattere le dittature, CLN e AHB divergevano sugli orientamenti circa il futuro assetto territoriale della provincia di Bolzano:
i primi sostenevano l'ipotesi che l'Alto Adige rimanesse all'Italia, i secondi auspicavano il diritto all'autodeterminazione dei sudtirolesi e l'annessione all'Austria.
Fu, quest'ultima, anche la posizione politica assunta dalla Südtiroler Volkspartei (SVP), partito di raccolta della minoranza di lingua tedesca nato l'8 maggio 1945, i cui membri fondatori erano prevalentemente Dableiber.
La questione altoatesina, lungi dall'essere un problema che potesse essere risolto localmente, divenne oggetto di trattative sui tavoli delle potenze vincitrici, quasi a confermare la dimensione internazionale quale carattere iscritto nella sua storia, dall'annessione a oggi.
Il mantenimento o meno del confine del Brennero era una decisione legata agli interessi e ai rapporti di forza tra USA, URSS, Regno Unito e Francia.
L'Europa si preparava a diventare il banco di prova della guerra fredda e anche il futuro territoriale dell'Alto Adige, dentro alla ridefinizione dei confini statutali, diventava una pedina da giocare sullo scacchiere continentale.
Per la sua importanza geopolitica di frontiera a ridosso della zona di influenza sovietica fino al 1955 la parte orientale dell'Austria era occupata dall'URSS), nonché per la presenza di un forte partito comunista (Partito Comunista Italiano), furono soprattutto le autorità statunitensi, interessate a porre un argine all'espansionismo sovietico, a considerare l'Italia come un Paese da sostenere con ogni mezzo.
L'eventuale perdita dell'Alto Adige l'avrebbe indebolita, compromettendo la stabilizzazione di un paese considerato strategico per il consolidamento della linea di demarcazione con il blocco orientale.
Tra le ragioni che determinarono il mantenimento dell'Alto Adige all'Italia, anche le questioni economiche ebbero un peso rilevante.
Lo sfruttamento intensivo del cosiddetto carbone bianco, avvenuto nel Ventennio grazie alla costruzione di grandi impianti per la produzione di energia idroelettrica, era una risorsa indispensabile per la ricostruzione del Paese.
Da esso traeva alimento la produzione industriale delle fabbriche del Nord. Si trattava di una ricchezza di cui avrebbe beneficiato l'intera popolazione altoatesina.
La determinazione dei ministri degli esteri alla Conferenza dei Quattro a Parigi (1946), riconfermando la decisione già presa nel settembre 1945, sancì definitivamente il mantenimento del confine del Brennero.
La richiesta di annessione portata avanti dall'Austria fu respinta. 12.
La decisione dei Grandi sul confine del Brennero apriva la questione del trattamento della minoranza di lingua tedesca all'interno dello Stato italiano, sulla cui soluzione pesavano i rapporti politici tra Roma e Vienna che le divergenze sul futuro dell'Alto Adige avevano reso più difficili.
Londra, attraverso il suo ministro degli Esteri Ernest Bevin, prese l'iniziativa svolgendo un'opera di mediazione che portò Italia e Austria al tavolo delle trattative bilaterali.
Vista in una dimensione europea, agli occhi degli Alleati la ricerca di una risoluzione diplomatica alla questione altoatesina avrebbe favorito in prospettiva rapporti amichevoli e di fiducia tra due Paesi a ridosso della cortina di ferro.
Sguardo lungo e fiducia reciproca furono anche alla base dell'accordo firmato a Parigi il 5 settembre 1946 dai ministri degli Esteri italiano e austriaco, Alcide Degasperi e Karl Gruber.
Nei tre punti in cui esso era articolato si prevedeva la completa uguaglianza di diritti degli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni a salvaguardia del carattere etnico e dello sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca.
Veniva ripristinata, inoltre, la scuola in lingua tedesca e ristabiliti i nomi di famiglia tedeschi, italianizzati durante il fascismo.
Era previsto l'uso della lingua tedesca nelle amministrazioni pubbliche e l'uguaglianza di diritti per l'ammissione a pubblici uffici, al fine di una più soddisfacente distribuzione degli impieghi tra i due gruppi etnici.
Nel secondo punto l'Italia si impegnava a concedere l'esercizio di un potere legislativo ed esecutivo autonomo, lasciando però aperto il quadro territoriale in cui tale autonomia sarebbe stata applicata.
Chiudeva il testo dell'accordo il punto relativo alla revisione delle opzioni di cittadinanza del 1939, in uno spirito di equità e di comprensione, e una serie di impegni per facilitare il transito transfrontaliero di persone e merci tra Austria e Italia, nonché il riconoscimento della validità di alcuni titoli di studio e diplomi universitari.
L'Accordo Degasperi-Gruber, inserito come Allegato IV nel Trattato di pace con l'Italia, era il frutto di una mediazione alta che implicava, secondo l'ambasciatore italiano a Londra Nicolò Carandini, un reciproco sacrificio rispettivamente della sovranità italiana e delle aspirazioni territoriali austriache.
Un segnale di distensione che si fondava sullo spirito di buona fede dei suoi contraenti e sul loro impegno a concretizzare con coraggio i punti dell'accordo.
Sulla determinazione del contenuto e dell'estensione dell'autonomia la questione sarebbe rimasta aperta alla soluzione che il governo italiano avrebbe ritenuto di adottare dopo essersi consultato con i rappresentanti della minoranza di lingua tedesca.
Al centro, a far da contrappeso ai molti problemi nuovi da risolvere, non restavano solo la fiducia e il dialogo tra le parti, senza i quali alcun passo avanti sarebbe stato possibile.
I contraenti avevano riconosciuto con lungimiranza l'autonomia quale pietra angolare della ricostruzione degli assetti politico-sociali ed economici di una provincia di confine, in una logica di buone relazioni diplomatiche tra Paesi di un'Europa in costruzione.
Un festoso benvenuto: i soldati della Wehrmacht vengono accolti come liberatori a Rencio, 9 settembre 1943 13.
A pochi mesi dalla Liberazione l'euforia per la fine della guerra aveva presto lasciato il campo a crescenti tensioni tra la popolazione di lingua tedesca e italiana davanti all'incertezza sul futuro dell'Alto Adige.
Nel registrare l'andamento dello spirito pubblico la relazione mensile dell'Arma dei Carabinieri del settembre 1945 parlava di un insanabile contrasto tra i due gruppi etnici, dovuto al fatto che ciascun gruppo si credeva un po' come padrone di casa.
Pur con linguaggio colloquiale e diretto l'annotazione illustrava con rara efficacia come i sudtirolesi e gli italiani si ponessero di fronte alla questione altoatesina:
i primi rivendicavano diritti storici sul territorio e intendevano tornare a essere protagonisti dello sviluppo della propria Heimat dopo la lunga oppressione subita;
i secondi consideravano acquisite e non contrattabili le posizioni di privilegio conquistate nel Ventennio.
Ancora nel primo decennio del secondo dopoguerra la suddivisione sociale del lavoro, ereditata dal fascismo, restava fortemente dominata dal fattore etnico:
i sudtirolesi risultavano prevalentemente occupati nel settore primario (67 per cento), mentre gli italiani lavoravano soprattutto nell'industria (62 per cento) e nel terziario, in particolare nella pubblica amministrazione 35 per cento).
Squilibri erano presenti anche nella distribuzione territoriale della popolazione, con una prevalenza di sudtirolesi nelle aree rurali e nei piccoli centri, mentre gli italiani si concentravano nelle aree urbane soprattutto nel capoluogo, Bolzano).
I problemi dovuti alla lenta ripresa delle attività produttive, alla mancanza di alloggi, all'approvvigionamento, al costo della vita, rendevano ancora più inestricabile l'intreccio tra questioni sociali ed etniche.
La ripresa dell'industria e la costruzione di alloggi popolari da parte del governo italiano erano visti dalla minoranza di lingua tedesca come strumenti per perpetuare la politica di italianizzazione condotta dal fascismo.
Lo stesso valeva per l'arrivo di profughi, reduci, sfollati, persone in cerca di casa e lavoro provenienti da altre province italiane, considerato al pari di una minaccia di sovversione degli equilibri tra i gruppi linguistici in Alto Adige.
Simili timori erano alimentati dal destino ancora incerto che sarebbe toccato alla gran massa dei sudtirolesi optanti, in particolare coloro che si erano trasferiti oltre Brennero.
La ricostruzione in Alto Adige, così come nel resto d'Italia, dovette fare i conti anche con i limiti dei processi di epurazione.
Le tensioni e la contrapposizione tra italiani e sudtirolesi nell'immediato secondo dopoguerra alimentò dinamiche che portarono a un reciproco arroccamento etnico, favorendo la mancata piena presa di coscienza delle compromissioni della propria parte con il nazismo e il fascismo.
Prevalsero logiche assolutorie e bisogno di rimozione rispetto agli anni delle dittature, più in linea con l'esigenza di rafforzare il proprio gruppo di appartenenza e fornire un'immagine integra e non corrotta della propria identità.
La contrapposizione tra italiani e sudtirolesi nell'immediato secondo dopoguerra alimentò dinamiche che portarono a un reciproco arroccamento etnico.
Il mantenimento del confine al Brennero: truppe americane al Brennero, maggio 1945 14.
L'Accordo Degasperi-Gruber: un principio ordinatore moderno e di esempio, che si prestava alla soluzione del più generale problema delle minoranze in Europa.
il ministro degli Esteri italiano Attilio Piccioni (secondo da sinistra) e il ministro degli Esteri austriaco Bruno Kreisky (secondo da destra) a Venezia, 3 agosto 1962.
Attentati in serie: distrutte le case popolari per gli immigrati italiani in via Resia a Bolzano, 27 marzo 1961 15.
I primi passi dell'autonomia.
La dittatura fascista aveva chiuso ogni spiraglio alle richieste di autogoverno ma non era riuscita a sradicare l'autonomismo.
Prima del 1914, subito dopo l'annessione e poi nel corso della Resistenza, il confronto sull'assetto territoriale e sul trattamento delle minoranze aveva tenuto alto il dibattito politico.
I molti progetti di ordinamento autonomo elaborati nell'immediato secondo dopoguerra in Trentino-Alto Adige testimoniavano un fervore autonomistico, che attraversava forze politiche e associazionismo locale.
Una vivace discussione su centralismo e regionalismo si sviluppò a Roma, durante i lavori dell'Assemblea costituente, così come a Trento e a Bolzano.
Contrasti, ripensamenti e istanze diverse furono alla base della maturazione progressiva di una concezione originale e avanzata di autonomia, cui fece da sfondo e da garante l'Accordo di Parigi, ispirato a forme di limitazione della sovranità e protezione internazionale delle minoranze etniche.
Un principio ordinatore moderno e di esempio, che si prestava alla soluzione del più generale problema delle minoranze in Europa.
Nell'Accordo Degasperi-Gruber restava tuttavia irrisolta la questione del quadro territoriale nel quale l'autonomia sarebbe stata applicata e ciò fu ragione di controversie tra il governo di Roma e i rappresentanti della minoranza di lingua tedesca.
La posizione di Degasperi fu fin dall'inizio favorevole a un'autonomia regionale in comune con il Trentino, sia per rispondere alle aspirazioni autonomistiche dei trentini sia per equilibrare le componenti etniche territoriali.
Per la Südtiroler Volkspartei (SVP) l'obiettivo restava invece l'autonomia per l'Alto Adige.
L'iniziativa di predisporre un progetto che avrebbe dovuto definire il quadro territoriale e i contenuti dell'autonomia era in capo al governo, cui spettava anche il compito di consultare i rappresentanti della popolazione di lingua tedesca come prevedeva il punto 2 dell'accordo.
Le prime proposte di statuto per la regione tridentina elaborate nel 1946 da Silvio Innocenti, consigliere di Degasperi, non trovarono in loco il necessario consenso da parte delle forze politiche, in primis la SVP che insisteva sulla dimensione esclusivamente provinciale dell'autonomia.
Nell'aprile del 1947 il partito della stella alpina presentò al capo del governo un proprio progetto che prevedeva la costituzione di due regioni ognuna a sé stante, il.
Südtirol e il Trentino, legate da organi comuni le Assemblee e le Giunte riunite) titolari di competenze legislative e amministrative su materie di comune interesse.
Tale proposta fu accolta da Degasperi come disponibilità al confronto da parte della SVP e utile punto di riferimento per la Commissione, detta dei Sette per il numero dei suoi componenti, nel frattempo nominata dallo stesso Degasperi per redigere un nuovo e definitivo schema di statuto.
L'assenza di rappresentanze locali al suo interno espose la Commissione alle critiche delle forze politiche trentine e altoatesine, che si vedevano escluse dalla trattazione del problema e consideravano con diffidenza la sua gestione romana.
I rapporti tra Roma e Bolzano si inasprirono con l'approvazione nell'Assemblea Costituente dell'articolo 116 della Costituzione, che attribuiva forme e condizioni particolari di autonomia a cinque regioni italiane tra cui il Trentino-Alto Adige.
Il riferimento esplicito alla Regione Trentino-Alto Adige suscitò vivaci reazioni polemiche da parte della SVP e fu percepito come una sorta di tradimento di Degasperi, accusato di aver condotto un doppio gioco a danno dei sudtirolesi.
Il 2 novembre 1947 alla presentazione alle forze politiche regionali della bozza di statuto elaborata dalla Commissione non mancarono critiche, proteste e richieste di modifiche.
La SVP, insoddisfatta, chiese invano di riaprire le consultazioni, ciononostante presentò le proprie proposte correttive.
Agli inizi del nuovo anno, dopo intense trattative con i rappresentanti del governo, la delegazione sudtirolese riuscì a ottenere significative modifiche allo statuto:
la restituzione alla provincia di Bolzano dei comuni di Egna e Salorno, numerose competenze legislative vennero trasferite dalla Regione alle singole province e venne introdotto l'articolo 14, in base al quale la Regione avrebbe esercitato normalmente le funzioni amministrative delegandole alle province.
Una clausola, quest'ultima, la cui mancata applicazione fu al centro dell'aspro scontro politico che accompagnò la crisi della prima stagione dell'autonomia.